Diedro Cozzolino: la rivincita dei miti caduti

La figura del grande alpinista triestino Enzo Cozzolino è indissolubilmente legata ad una delle più famose arrampicate classiche delle Giulie: il Diedro Cozzolino al piccolo Mangart di Coritenza appunto. Questa via, insieme al Casarotto allo Spiz de Lagunaz e al Philipp Flamm in Civetta, rientra indiscutibilmente nel novero dei diedri più grandiosi delle Alpi orientali.

Una classica per eccellenza, capolavoro di ardimento del grande Cozzolino che insieme a Bernardini aprì senza molti clamori, nel settembre 1970, questa magica linea capace di far sognare e parlare di sè intere generazioni di alpinisti.

diedro cozzolino

Enzo Cozzolino

La lunghezza della via (800 mt), la sostenutezza delle difficoltà (dal 5° al 6+) unite all’esposizione a settentrione della parete, che non facilita una veloce asciugatura della roccia dopo intense precipitazioni, fanno del Cozzolino una cosa riservata a cordate ben preparate da salire al momento giusto.

Nicola Narduzzi, un giovane amico alpinista di Fagagna (UD) si è portato a casa questa via dopo averla corteggiata e sognata per lungo tempo. Ecco il suo scritto:

 

Diedro Cozzolino: siamo soli sulla parete

Il silenzio è rotto solo da un rumore metallico, sempre più acuto. Dopo essermi assicurato al chiodo mi siedo sulla cengia, cercando di assecondare il veloce movimento del mio compagno con le corde. In basso il sole inizia a rischiarare la faccia orientale del diedro, svegliando la parete dall’oblio in cui è confinata.

Chiudo gli occhi, realizzo dove mi trovo: anche il diedro infinito sta per terminare. È stato un lungo percorso, durato quasi dieci anni: perché, in fondo, ho fatto tutto solo per lui. Ci sono pareti che colpiscono nel profondo dell’anima, diventando quasi non più una salita ma un vero e proprio bisogno primordiale, un modo per capire chi sei e dove sei arrivato. Il diedro, poi, è come la bella del liceo di cui è impossibile non innamorarsi, con la sua dirittura perfetta segnata da una linea imperfetta eppure bellissima nella sua imperfezione, perché testimone di un’epoca: a Cozzolino non importava la linea diretta, contava solo la libera.

Lo vedevo davanti a me nelle buie corse invernali, quando l’aria gelida bruciava i polmoni; nelle noiose sessioni in falesia fatte con il solo scopo di andare a dormire stanco, ma consapevole di aver fatto un passo in più verso il mio obiettivo. Anche le facili vie per fare esperienza, e poi le vie più impegnative, non erano giornate a sé stanti, ma metro di paragone per capire quando sarebbe giunto il momento.

diedro cozzolino

Nel passaggio della spaccata

Siamo giunti infine alla base del gigante, nell’ora fredda della notte che precede l’alba. Non un filo di ansia nei pensieri, nessuna preoccupazione: non c’è spazio per loro nella mente divisa dalla battaglia tra la voglia e la paura di realizzare il proprio sogno. Mentre il cielo a oriente rischiarava ci siamo fatti strada nel cuore profondo del diedro, senza fretta, in punta di piedi. Due formiche che cercano di imitare i giganti. Ben presto abbiamo capito come spalmarci sul levigato calcare di Coritenza, e lui si è lasciato accarezzare, docile: non ho mai avuto voglia di lottare con l’alpe, e oggi più che mai sono alla ricerca di qualcosa che ponga fine al conflitto interiore. Neanche una scivolata sulla fessura strapiombante ha turbato l’equilibrio: una breve accelerazione verso il basso, un urlo di sorpresa e il viaggio è ripreso. Solo i comandi di cordata, urlati da sosta a sosta, hanno spezzato il silenzio che avvolge la parete, poche parole pronunciate quasi con rimorso per aver spezzato l’incanto eterno ed immobile in cui ci troviamo. Le ore sono trascorse rapide fino ad arrivare qui, a pochi passi dalle pietraie illuminate dal sole calante che si possono intuire oltre la cresta.

 

diedro cozzolino

Nella parte superiore del diedro

Marco esce dalla parete, inizia a recuperarmi e io parto quasi correndo. Sul limite del canale ghiaioso che scende dalla cima mi fermo: il fiato è pesante, un po’ per la corsa, un po’ per l’emozione. Ora, sul limite estremo dei miei sogni, cerco di rubare ancora qualche istante alla parete, voglio che il diedro veramente non abbia fine. Un periodo della mia vita sta per terminare, ho paura di sapere cosa accadrà dopo. Lentamente percorro gli ultimi metri, pensando a quante volte ho immaginato questo momento, a tutte le aspettative che mi ero costruito. Esco alla luce, mi guardo intorno, attonito. A oriente regna sovrano il Triglav, dinanzi a noi la piramide dello Jalovec si staglia contro il cielo. In basso la valle nell’ombra della sera sembra riacquistare vita dopo la battuta opprimente del sole estivo. Tutto è immobile, niente è cambiato. Cosa pensavi, che un volta in cima i Cieli si sarebbero aperti, rivelandoti la Verità sulla vita, sull’amore e sulle paure? Che Babilonia sarebbe caduta, e con essa i feticci che idolatriamo rinchiudendoci in una gabbia? Che ti saresti liberato di qual senso di incompiutezza che ti accompagna ad ogni ascensione? No, in fondo anche questa è solo una parete, e il Diedro Cozzolino è solo una via. Il mito è svanito.

Diedro Cozzolino

Nicola ormai fuori dalla parete

Guardo le cime delle Giulie infiammarsi nella calda luce del sole calante. Cerco di riempirmi gli occhi di bellezza, ne avrò bisogno nei prossimi giorni. Un velo di tristezza mi accompagna mentre abbandono una parte di me tra le rocce del Coritenza, incamminandomi verso oriente nell’ombra che ci avvolge.
Ho passato diverse giornate a cercare di dare un senso a quel vuoto, a quella sensazione di mancanza che mi accompagnava in seguito al ritorno dal Mangart. Continuavo a vedere la parete ergersi maestosa nel chiarore dell’alba, i lisci colatoi superati in spaccata, lo spigolo Mec che si illumina nella luce della sera. Continuavo ad arrampicare sul diedro, non potevo farne a meno, non volevo fermarmi. Mi ci è voluto un po’ di tempo, ma alla fine ho capito.

diedro cozzolino

Lungo la cengia di uscita

Oltre le rocce, il diedro nasconde la sua realtà: è un arrampicatore triestino, che vede una linea laddove gli altri sono stati ciechi, o hanno fatto finta di non vedere; è un ragazzo diciassettenne che punta gli stivali sul calcare levigato in una spaccata disperata; è un uomo solo che nel gelo della eterna notte invernale combatte la sua personale battaglia, lasciando come testimone un cordino irraggiungibile. Queste persone hanno costruito una leggenda e tale rimarrà per sempre ai miei occhi.

Ripenso alla parete e la tristezza mi abbandona, mi sento fortunato: per anni il diedro mi ha dato una direzione, uno scopo, e inseguendo un mito sono giunto più in alto di quanto avrei mai immaginato. Voglio continuare a credere in un mito, mi ha aiutato a vedere oltre ciò che comunemente ritenevo possibile. È stato un lungo percorso, di cui devo essere grato, perché la cosa più preziosa che abbiamo al mondo è la libertà di sognare in grande.

 

diedro cozzolinoDIEDRO COZZOLINO in pillole

Enzo Cozzolino, Armando Bernardini, 23 settembre 1970

DIFFICOLTA’: dal V al VI+

LUNGHEZZA: 800 m

MATERIALI: Martello e alcuni chiodi, oltre alla normale dotazione alpinistica.

ORARIO: Dalle 8 alle 12 ore per una cordata affiatata

ACCESSO: da Tarvisio si segue per Fusine (verso il confine sloveno) e si raggiungono i Laghi di Fusine e il Rifugio Zacchi base d’appoggio per questa salita.

DISCESA: dalla vetta si scende verso la Forcella Sagherza fino al Bivacco CAI Tarvisio. Da qui continuare la discesa lungo  l’eterna via ferrata “Via della vita” fino a raggiungere i ghiaioni basali.

Foto di copertina: Image credit Gulliver